
La responsabilità amministrativa degli enti, disciplinata dal Decreto Legislativo 231/2001, introduce un sistema di sanzioni per le aziende che traggono vantaggio dalla commissione di determinati reati da parte di amministratori, dirigenti o dipendenti. Tra le sanzioni previste, oltre a multe e interdizioni, vi è la confisca del prezzo o del profitto del reato.
Un aspetto rilevante e spesso poco chiaro riguarda la possibilità di patteggiare per ridurre le conseguenze sanzionatorie e se, in tale contesto, la confisca sia obbligatoria anche quando non concordata tra le parti.
Un recente orientamento della Corte di Cassazione ha chiarito che la confisca è obbligatoria, anche quando non sia stata espressamente concordata tra le parti nell’accordo di patteggiamento.
Responsabilità amministrativa e sanzioni: cosa dice la legge?
Il Decreto Legislativo 231/2001, all’articolo 19, prevede che tra le sanzioni per la responsabilità amministrativa di un ente vi sia la confisca del prezzo o del profitto derivante dal reato.
Ad esempio, un’azienda che guadagna denaro in modo illecito attraverso contratti truccati è tenuta a restituire i profitti ottenuti da tali pratiche illecite. Allo stesso modo, un’impresa che ottiene vantaggi economici mediante pratiche ambientali illecite vedrà confiscati tali guadagni come parte della sanzione amministrativa.
Quello che va sottolineato è che la confisca, a differenza delle altre sanzioni che lasciano al giudice un certo margine di discrezionalità, è obbligatoria per legge. Ciò significa che il giudice deve sempre applicarla, indipendentemente dalla volontà delle parti nel patteggiamento.
Questa interpretazione è stata recentemente confermata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4753 del 5 febbraio 2025.
Cosa significa per le aziende l’obbligatorietà della confisca?
Per le società coinvolte in procedimenti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, la decisione di optare per il patteggiamento deve tenere conto di questo aspetto. Infatti, anche se il patteggiamento può comportare una riduzione delle sanzioni pecuniarie e altre misure punitive, non elimina l’obbligo di confisca dei proventi illeciti.
In particolare, il caso su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione nella sentenza appena citata è quello di una galleria d’arte, alla quale il giudice ha disposto la confisca dell’intero ricavato derivante dalla vendita di un quadro rubato, considerato profitto del reato di autoriciclaggio (ex art. 25-octies D.Lgs. 231/2001), senza nemmeno scorporare il costo di acquisto.
Questo dimostra come la confisca possa riguardare somme rilevanti, incidendo significativamente sul patrimonio dell’ente.
Inderogabilità della confisca anche in assenza dei beni riconducibili al reato
La Corte di Cassazione ha precisato che la confisca può essere disposta anche nella forma per equivalente, qualora i beni o il denaro direttamente riconducibili al reato non siano più disponibili.
Ciò rafforza l’idea che la confisca sia una misura inderogabile, obbligando il giudice a disporla anche in assenza dei beni o delle somme derivanti dal profitto illecito, e anche qualora essa non sia espressamente prevista nell’accordo tra le parti.
In conclusione, questa recente sentenza della Corte di Cassazione, deve spingere le aziende e i loro legali a considerare attentamente la questione della confisca nel valutare un patteggiamento ai sensi del D.Lgs. 231/2001. L’obbligatorietà della confisca, confermata dalla giurisprudenza, rappresenta un elemento chiave nella strategia difensiva e nella gestione del rischio legale.
In un contesto normativo sempre più stringente, una corretta valutazione delle conseguenze del patteggiamento può fare la differenza tra una gestione efficace della crisi e un impatto economico e reputazionale significativo per l’azienda.