
Lo scorso 15 febbraio la Corte Costituzionale è stata chiamata a vagliare l’ammissibilità del referendum sull’eutanasia legale promosso dall’Associazione Luca Coscioni e per il quale sono state raccolte oltre 1 milione e 200 mila firme: al termine della Camera di Consiglio, i giudici costituzionali hanno ritenuto inammissibile il quesito referendario.
Il Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato nell’esporre le motivazioni che hanno indotto la Consulta a bocciare il quesito referendario ha dichiarato che l’ammissione dello stesso avrebbe sdoganato la non punibilità ad un alveo di fattispecie troppo vasto, occupandosi dell’omicidio del consenziente: per Amato occorrerebbe restringere il perimetro d’azione dell’impunità penale solo ed esclusivamente a coloro che soffrono, invitando il Parlamento ad occuparsi in modo preminente del tema dell’eutanasia.
Non si è fatto attendere il commento di Marco Cappato sulla decisione della Consulta: questi ha criticato le parole del Presidente Amato in quanto ritiene che la Corte Costituzionale abbia cancellato la possibilità di andare nella stessa direzione di altri paesi dell’Unione Europea quali il Belgio, il Lussemburgo, la Spagna e l’Olanda, di porre fine alle intollerabili sofferenze di tante persone e spiegando che l’erroneità del quesito non è imputabile ai comitati quanto piuttosto alla Corte di Cassazione che lo ha formulato.
L’attuale art. 579 c.p. punisce l’omicidio del consenziente, senza riserve. La proposta referendaria prevedeva una parziale abrogazione del predetto articolo il quale vieta in modo assoluto ogni possibilità di praticare l’eutanasia legale in Italia.
Il quesito non alterava però le tutele previste nei confronti dei soggetti più vulnerabili quali i minori e gli incapaci di intendere e di volere e di coloro il cui consenso venga estorto.
Un passo in avanti verso l’eutanasia legale si è senza dubbio assestato con la legge n. 219/2017 che all’art. 1 così recita: “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.
La legge n. 219/2017, nel rendere lecita l’eutanasia in forma passiva, attuata mediante omissione, ha dato riconoscimento alla volontà del singolo di porre fine alla propria vita, legittimandolo a redigere le c.d. DAT ovvero le disposizioni anticipate di trattamento, comunemente definite testamento biologico, nella piena acquisizione del consenso informato, permettendogli dunque di rifiutare o porre fine ai trattamenti sanitari necessari a mantenerli in vita.
Nel 2019 la Consulta aveva già trattato l’infuocato tema dell’eutanasia legale, chiarendo che in tali ipotesi in cui il singolo sia tenuto in vita esclusivamente dai c.d. trattamenti di sostegno vitale non sia punibile il reato di aiuto al suicidio di cui all’art. 580 c.p. e statuendo con il caso Cappato la legittimità del singolo di procurarsi la morte assistita anche con l’aiuto o agevolazione di un soggetto terzo purché sia sottoposto a trattamenti di sostegno vitale e vincolando la procedure a particolari cautele di previste espressamente dall’art. 1, comma 5 della già citata L. n. 219/2017.
Cosa accade invece se il soggetto che desidera porre fine alla propria vita non sono posti in essere trattamenti di sostegno vitale o similari?
La libertà di disposizione del singolo e la tutela dei suoi diritti finisce qui: se per porre fine alle sofferenze del singolo non dovesse risultare sufficiente l’interruzione delle terapie, null’altro potrebbe essere compiuto senza integrare la fattispecie di reato di cui all’art. 579 c.p.. L’eutanasia in forma attiva ancora nel 2017 è ancora un reato, creando di fatto una grave disparità e discriminazione tra i malati gravi che soffrono in modo intollerabile.
Il referendum si proponeva l’obiettivo di far cadere il divieto assoluto di praticare l’eutanasia e di consentirla oltre che nella forma passiva già legittima anche se praticata attivamente, permettendo anche al medico di poter somministrare il farmaco eutanasico al paziente che ne faccia espressa richiesta, purché sempre nel rispetto della legge n. 219/2017.